La sanità è sempre al centro dell’attenzione quando si parla di tagli, ed il motivo, universalmente riconosciuto, è l’alto spreco di risorse.
Cercando di capire che cosa ha in mente lo stato, appare chiaro che l’idea che cerca di perseguire è ottimizzare l’uso delle risorse, cosa buona e giusta, il problema sta però nel definire quale sia l’uso ottimo della risorsa, e cioè definire degli standard ai quali il sistema sanitario dovrà adeguarsi a livello nazionale.
Ed è proprio qui dove, per quanto riguarda le prestazioni di riabilitazione, la discussione si è arenata.
Il testo dell’intesa tra Stato e regioni infatti cita:
Riduzione dei ricoveri di riabilitazione ad alto rischio di inappropriatezza
Si prevede un altro decreto ministeriale che individui i criteri di appropriatezza dei ricoveri di riabilitazione ospedaliera, con riferimento alla correlazione clinica del ricovero con la tipologia di evento acuto, alla distanza temporale tra il ricovero e l’evento acuto e, nei ricoveri non conseguenti ad evento acuto, alla tipologia di casistica potenzialmente inappropriata.
In pratica si è arrivati (forse) ad un accordo sulla metodologia per definire i criteri, se ne prende atto, e si rimanda il tutto al futuro.
Il succo di tutto è che in base all’evento che scatena la necessità di riabilitazione (che sia un trauma o una patologia) l’intervento dovrebbe essere gestito in base alla richiesta assistenziale globale del paziente, e quindi indirizzato verso la tipologia di struttura adatta.
Esistono tre gruppi di struttura/assistenza:
- Ambulatoriale – day hospital, dove l’intervento riabilitativo è limitato nel tempo della giornata, non ci sono complicazioni cliniche e non c’è necessità di degenza
- Ospedaliera, dove l’intervento riabilitativo è su più fronti e dove il punto di forza è l’equipe, l’assistenza è a 360° su 24h
- Lungodegenza, dove le criticità generali sono risolte, quindi l’assistenza dal punto di vista medico ed infermieristico è ridotta ma non è ancora stata recuperata una autonomia tale da permettere il rientro al domicilio
Ovviamente ognuna ha un costo diverso, con la degenza ospedaliera in testa e quella ambulatoriale in coda.
Quando si parla di “inappropriatezza” si parla quindi di un paziente che per le sue esigenze è inserito nel contesto riabilitativo sbagliato, che solitamente è quello ospedaliero, con il risultato che non solo si va a spendere più del necessario, ma si occupa senza un motivo valido un posto che potrebbe e dovrebbe sfruttare un’altra persona con delle esigenze più “appropriate” al contesto ospedaliero.
Ma la domanda rimane, è possibile risparmiare in questo modo? Sicuramente si, ma comunque il risparmio che si avrebbe (stimato in 89 milioni di euro) è marginale rispetto ai reali sprechi in campo sanitario. I problemi per la popolazione sono due:
- Nella testa del governo si fa la legge ed i risultati sono immediati, quindi io ti do’ meno soldi e tu mantieni lo stesso servizio. Ma l’ottimizzazione del servizio richiede tempo (e volontà), mentre i tagli sono immediati. E per fare quadrare i conti, si riduce il servizio.
- I soldi risparmiati non vengono reinvestiti per migliorare ed allargare il servizio. Quindi di andare avanti non se ne parla, nella migliore delle ipotesi si rimane fermi, nella realtà si va indietro.
C’è un terzo problema però, che è quello più importante di tutti: la riabilitazione viene vista come una prestazione accessoria alla medicina “tradizionale”. Non si riesce a cogliere come la riabilitazione sia innanzitutto prevenzione. E prevenire vuol dire salvaguardare la salute delle persone ed il portafoglio dello stato.
L’ottica giusta dovrebbe essere quella di tentare la riabilitazione sempre prima di un intervento. Sia perché un intervento è un intervento, e quindi comporta dei rischi, e sia perché il costo di un ciclo di riabilitazione è nelle centinaia di euro, il costo di un intervento nelle migliaia, ed ogni intervento che si riesce ad evitare potrebbe coprire decine di cicli riabilitativi, con un risparmio netto evidente per le casse dello stato.